Benvenuti in un nuovo articolo di Movieblog! Oggi vi regaliamo cari lettori una chiacchierata che ci siamo fatti con Riccardo Leonelli, un giovane ma già affermato attore teatrale e televisivo italiano. Bhe, che dire, non resta altro che mettersi seduti sul divano comodi e rilassati per godersi questa interessante intervista.
Ciao Riccardo, prima di tutto vorrei che ti presentassi ai nostri lettori.
Ciao, mi chiamo Riccardo Leonelli, sono un attore, regista, drammaturgo e insegnante di recitazione. Amo quasi tutto del mio lavoro che cerco di svolgere sempre più a 360°, approfondendo le mie competenze e curiosando quanto più possibile, sia in campo teatrale che cinematografico. Sono una persona riservata, ma capace di tirare fuori una gran faccia tosta, grazie a un mestiere che ogni giorno mi insegna a liberarmi da maschere e inibizioni. Sono un caso più unico che raro: faccio l’attore e sono cattolico. Credo di avere attraversato momenti terribili nella mia vita, ho ferito e tradito molte persone, ma ho una famiglia stupenda e una fidanzata bellissima che mi ripagano di tutto il male fatto e subito. A volte sono arrogante ed è una cosa che non amo di me, ma credo sia dato dal fatto che, essendo un uomo passionale e (come ogni attore che si rispetti!) profondamente insicuro.
Sei un attore professionista, come e quando è nata la tua passione per la recitazione?
Ho iniziato a recitare per scherzo al Liceo Classico. Feci uno sketch tratto da una nota pubblicità del tempo, in Piazza dei Bambini a Terni, all’interno di una serata di musica e teatro. C’erano tre o quattrocento persone ad assistere allo spettacolo. Andò molto bene, il pubblico si divertì ed io più di loro. Era il 1995, mi pare. Da allora iniziai a recitare a scuola, instradato da due miei insegnanti che ricordo sempre con grande piacere e riconoscenza.
Hai studiato all’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, l’accademia teatrale più antica e prestigiosa nel panorama italiano, raccontaci quest’esperienza e quanto ti ha arricchito personalmente
Senza l’Accademia il mio percorso professionale sarebbe stato diverso. Non so dirti se migliore o peggiore. In ogni caso, credo che in qualche modo sarei riuscito a fare questo mestiere. L’Accademia è stata una scuola di vita: 8 ore al giorno dal lunedì al sabato per tre anni. Recitazione, canto, scherma, acrobatica, storia del Teatro, ecc. mi hanno costretto ad essere rigoroso, puntuale, ma soprattutto a mettermi in gioco, cosa che non tutti nella vita si trovano a dover fare. Io non ho avuto scelta, sempre in competizione con gli altri ma soprattutto con te stesso, tra mille difficoltà e paure. E forse, detto tra noi, avrei potuto dare di più. La pigrizia e la mia naturale mancanza di ambizione mi hanno frenato più di una volta. Un regista un giorno mi disse: “Riccardo, il tuo problema è che fai tutto bene alla prima lettura. Hai un grande talento. Ma stai attento a non fermarti alla superficie delle cose.” Mai ho ricevuto insegnamento più grande.
A quale attore affermato ti ispiri particolarmente e perché?
In realtà mi ispiro ad ogni bravo attore (o attrice) che mi convince in un determinato ruolo che, in quel momento della mia vita, mi serve come ispirazione per un personaggio. Un bravo attore imita, ruba, assimila e rielabora a suo modo, per creare qualcosa che non ha mai fatto nessuno prima. Un grande attore… boh? Te lo dirò quando lo diventerò.
Recentemente sei stato un villain nella fiction “Nero a Metà” con Claudio Amendola, com’è stato lavorare con lui ed in generale come ti sei trovato sul set?
Claudio Amendola è senz’altro un leader: ha carisma e le idee molto chiare. Abbiamo chiacchierato un po’ e ci siamo fatti un paio di selfie, ma come spesso accade non ho avuto modo di approfondire più di tanto, per il semplice fatto che – mentre sei su un set – stai lavorando e dovresti dedicarti principalmente alla ricerca della concentrazione, obiettivo non semplice da raggiungere mentre tutti intorno fanno casino. L’esperienza di Nero a metà è stata piacevole: ho trovato un buon clima, collaboratori e colleghi molto professionali e ho apprezzato molto il mio personaggio che, nel suo tragico climax sanguinario, ho saputo comprendere e giustificare. Non devi mai giudicare il tuo personaggio, ma sempre aderire alle sue convinzioni e volontà, per quanto possano apparire assurde o malvagie.
Molti dei nostri lettori, sono ragazzi che sognano un giorno di recitare su un set cinematografico, quale consiglio ti senti di dare alle nuove generazioni che hanno questo desiderio?
Innanzitutto si deve capire se si ha talento. Come si fa a capirlo? Oltre a sentire il parere di genitori e amici stretti, bisogna imparare ad “ascoltare” tutti e raccogliere le più svariate impressioni. Poi c’è la cosa più difficile: capire “perché voglio farlo?” Per il successo? Lascia perdere. Per apparire? Peggio che mai. Per guadagnare? Avanti un altro. L’unica risposta che – credo – sia giusta è la seguente: “Perché non posso vivere senza”. Ecco, questa è stata la ragione che mi ha spinto, dopo il Liceo, a dedicarmi a questo mestiere. Una volta risposto a queste due domande, bisogna impegnarsi e studiare. Come? Accademie, corsi, stage, workshop e – consiglio prezioso che do a tutti i miei allievi – imparare un mestiere. Ossia avere un piano B per i momenti di stallo, che ci saranno sempre, i primi tempi.
Sei anche un insegnante di teatro e fai vari corsi in varie città, quanto è gratificante per te insegnare quest’arte e che tipo di maestro vuoi essere?
Per me insegnare è un apprendimento continuo. È come tornare a scuola (da allievo). Osservando gli altri capisci i tuoi errori, ricevi stimoli, ti vengono idee per nuovi spettacoli e suggerimenti per nuovi personaggi. È fantastico. Vedere dei giovani o meno giovani approcciare con entusiasmo a questa arte è bellissimo. Ormai insegno da 15 anni e in ogni laboratorio, workshop o spettacolo che dirigo ci sono sempre uno o due soggetti che fanno la differenza e che, se volessero, potrebbero intraprendere questo mestiere. Tra queste persone particolarmente meritevoli che ho avuto la fortuna di incontrare sul mio cammino, e a cui ho cercato di trasmettere qualcosa di buono, posso citare con orgoglio Luisa Borini, che nel 2016 ha vinto il Premio Hystrio alla vocazione, Mariavittoria Cozzella, tra le protagoniste della serie Il Paradiso delle signore e Stefano de Majo, con cui collaboro ormai da tanti anni e che posso, a ben diritto, ritenere mio fratello.
Ultimamente si sta discutendo della possibilità di inserire nelle scuole primarie l’insegnamento del teatro come attività extra scolastica, cosa pensi al riguardo?
Cosa aspettiamo? Facciamolo. Il Teatro non serve soltanto a chi vuol calcare le scene, ma anche e soprattutto a chi vuol trovare se stesso.
Ti sei prefissato degli obbiettivi lavorativi da qui a cinque anni? Se sì, quali?
Sto per compiere quarant’anni e avrei voluto festeggiarli con un grande spettacolo. Purtroppo il Covid non lo permetterà, quindi… “andrò a bere un bicchiere” cit. Eliot Ness. Ma a parte questo non mi prefisso più obiettivi. Lo facevo dieci anni fa e non ne ho raggiunto nemmeno uno… 😀 Quindi prendo ciò che viene con meno spocchia di prima, con più realismo e sana concretezza. Tengo giusto un paio di ali pronte in soffitta casomai dovessi spiccare un volo dell’ultimo minuto.
A causa del Covid si sta discutendo molto sul futuro della sala cinematografia e sulla sua capacità di resistere economicamente a questo periodo, qual è la tua opinione su questo argomento in relazione al periodo che stiamo vivendo?
Che ti devo dire… il cinema era già in crisi da tempo. Il teatro è in crisi da sempre. La gente di spettacolo è sempre sull’orlo di una crisi di nervi… È la nostra natura e il nostro destino. Il vero grande problema dell’arte dello spettacolo oggi (cinema e teatro) non è il Covid – che ha soltanto fatto luce sulla vera magagna – ma è la qualità sempre più scadente delle pellicole e degli spettacoli. L’abbassamento culturale promosso da una certa televisione ha provocato l’imbarbarimento dei gusti del popolo che, anno dopo anno e inesorabilmente, è passato dall’andare a teatro a vedere Shakespeare o al cinema a vedere Orson Welles, a poltrire sul divano di fronte a Uomini e donne o similari. Negli anni Ottanta, ero bambino, si parlava della tv spazzatura come fenomeno in evoluzione ma ancora minoritario. Oggi il 90 % della tv è spazzatura. E lo dice uno che la fa, a volte senza troppo entusiasmo. Il futuro delle sale cinematografiche è grigio, quello del teatro è nero. Il Covid ha già mietuto e mieterà molte vittime. Ma passerà. Chi curerà invece la nostra ignoranza?