ITALIA, 2020
REGIA: EDOARDO PONTI
DURATA: 94 min.
CAST: SOPHIA LOREN, IBRAHIMA GUEYE, RENATO CARPENTIERI, BABAK KARIMI, ABRIL ZAMORA, DIEGO IOSIF PIRVU.
IL RITORNO DI SOPHIA
Tratto dall’omonimo romanzo del 1975 scritto da Romain Gary (e già portato sul grande schermo nel 1977) “La vita davanti a sé” narra la storia di Madame Rosa, un’anziana donna sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti ed ex prostituta, e di Momò, problematico dodicenne proveniente dal Senegal e rimasto orfano, in fuga dai servizi sociali e senza fissa dimora.
L’incontro-scontro tra questi due mondi così apparentemente diversi e lontani è il cuore di questa pellicola diretta da Edoardo Ponti, figlio di Sophia Loren, che ha convinto la madre a tornare davanti alla macchina da presa dopo più di 10 anni (l’ultima fatica cinematografica dell’attrice partenopea risale al 2009 con “Nine” diretto da Rob Marshall).
Dapprima destinato a un’uscita limitata nelle sale, in seguito alle recenti chiusure dei cinema il film approda direttamente su Netflix il 13 novembre. Sicuramente rivedere la grande Sophia Loren all’opera è una piacevole emozione, in un ruolo cucito apposta per lei.
La sua Madame Rosa è una donna che ha attraversato molte sofferenze e difficoltà, ciononostante la vita non l’ha piegata; conservando ancora la sua indole combattiva e, a suo modo, generosa, accoglie nella propria casa alcuni bambini, figli di altrettante prostitute, che non avrebbero un altro posto dove andare.
Destino vuole che incontri Momò, un ragazzino con alle spalle una tragedia familiare, che tra furtarelli e spaccio di droga sfugge ai servizi sociali. Grazie all’aiuto di un medico riesce a trovare un posto dove vivere: la casa di Rosa, appunto.
Entrambi riluttanti per la nuova sistemazione, impareranno tra alti e bassi ad abbattere le reciproche difese e ad affezionarsi l’uno all’altra, come due pianeti a prima vista lontanissimi ma in realtà accomunati da una grande sofferenza: a nessuno di loro la vita ha riservato sconti.
UN’OPERA RIUSCITA A METÀ
Il film si affida allo status della Loren e all’interpretazione convincente del piccolo Ibrahima Gueye nei panni di Momò, ma la storia purtroppo traballa e la sensazione di prevedibilità si insinua già dai primi momenti.
Evidenti pecche si riscontrano nella sceneggiatura che dallo spaccato sociale sfocia pericolosamente nel melodramma (forse più adatta a un formato televisivo in stile fiction di Rai Uno), e nella regia ordinaria che non riesce a elevare e rendere avvincenti le storie di degrado e disperazione di cui la periferia del Sud Italia, precisamente a Bari dove il film è ambientato, ha già fornito sufficienti – e di gran lunga migliori – spunti narrativi al mondo del cinema.
Con un susseguirsi di situazioni e personaggi stereotipati l’opera rimane incasellata nella categoria “senza infamia e senza lode”, non da cestinare completamente (i brutti film sono altri) ma senza un’urgenza e un degno approccio stilistico che ne giustifichino il merito.
Se proprio dovessi consigliarlo, direi che potrà essere apprezzato dai fan della Loren e da coloro alla ricerca di sentimenti a buon mercato conditi con una buona dose di melassa.
Il peso specifico del film si dissolve rapidamente coi titoli di coda arricchiti dalla canzone scritta da Laura Pausini e Diane Warren “Io sì (Seen)”, che molti auspicano verrà candidata all’Oscar.