Il debutto cinematografico di Greta Gerwig come sceneggiatrice e regista è una commedia di formazione gloriosamente divertente e malinconicamente autobiografica.
Il film, presentato al Telluride film festival 2017, ha ottenuto cinque candidature ai premi Oscar 2018 tra cui quella al miglior film.
Lady Bird è una sorta di lettera d’amore alla sua città natale, Sacramento, in California; alla madre appassionata e dispotica; e alla sua stupida adolescente, che sognava di frequentare un elegante college di arti liberali a New York e trovare una terra promessa di raffinatezza adulta.
Trama di Lady Bird
Christine McPherson (Saoirse Ronan) ha diciassette anni e non le piace nulla della sua vita: viene da una famiglia semplice, frequenta controvoglia una scuola cattolica, ha attorno persone poco stimolanti. Fortuna vuole che per iscriversi al college deve aggiungere attività extracurricolari decidendo così di partecipare ad un corso di teatro che darà nuova linfa alla sua vita.
Lady Bird è un animo turbolento incline all’arte, con in corpo un mix esplosivo di sensibilità, alienazione e presunzione martirizzata. Il suo soprannome fa parte della sua insistenza nell’identificarsi in modi diversi da quelli che le sono stati imposti dalla famiglia e dalla scuola.
Per l’intensa pressione di sua madre, non risponderà più a Christine, ma solo a Lady Bird. Da dove venga quell’idea, non lo sappiamo.
Il cast del film
Christine ha una migliore amica, Julie (Beanie Feldstein), più goffa e impacciata fisicamente ma molto più brava di lei in matematica. Quando provano la recita scolastica – una vivace produzione di Merrily We Roll Along – Julie si rivela anche più brava a recitare e Lady Bird riceve una parte mortificante. Ma è qui che si innamorerà della star del teatro musicale della scuola Danny (Lucas Hedges), che la bacia e dice che la rispetta troppo per toccarle il seno. In effetti, le sue ragioni sono più complicate di così. Si infatuerà anche del super cool Kyle (Timothée Chalamet), che si mostra una persona deludente a modo suo. E per tutto il tempo, la sua formidabile madre, Marion, una meravigliosa Laurie Metcalf, sta cercando di mantenere in piedi la famiglia. Marion deve fare i doppi turni come infermiera, perché il padre di Lady Bird (Tracy Letts) è stato appena licenziato. È arrabbiata e controlla la figlia in modi che non riesce a spiegarsi davvero.
Un atipico coming-of-age
Lady Bird è un coming-of-age che parla dell’adolescenza come molti altri film indipendenti hanno fatto (si pensi ad esempio a Juno o a Eight Grade) con un tono sempre molto personale e po’ fuori dalle righe tradizionali, anche se rimane una pellicola non di rottura totale.
Il racconto percorre molte delle tappe classiche (e inevitabili) del genere ma sfugge alle trappole dei cliché in cui si rischia di cadere rivelando la sua forza proprio in questi scarti, talvolta impercettibili ma comunque fondamentali.
Greta Gerwig, figlia artistica del mumblecore dei primi anni duemila, esordisce per la prima volta alla regia in solitaria dopo l’esperienza in coppia con Joe Swanberg di Nights and Weekends (2008). Sceglie di raccontare la storia nel 2002 e in un luogo che conosce bene. La Gerwig, compagna di Noah Baumbach, il maggior esponente del mumblecore, ripropone poco lo sguardo tagliente del marito che, viste le basi autobiografiche della pellicola, è mitigato da una sensibilità più dolce e malinconica.
Questa tenerezza non è mai stucchevole ma riesce a trattare con la giusta umanità ogni personaggio, mantenendo una leggerezza di fondo.
Le dinamiche adolescenziali non vengono né appesantite per renderle più drammatiche né svuotate per renderle più comiche. Lady Bird si colloca in una via centrale tra i due generi, e questo tono sfumato e non netto è sostenuto sia dalla fotografia delicata di Sam Levy, che opera snellendo i colori servendosi molto della luce naturale, sia dalla regia piuttosto semplice e lineare.
Un racconto dialettico
Lady Bird segue un intero anno di vita della protagonista (una Saoirse Ronan alla terza nomination all’Oscar e perfettamente calata nel ruolo) e dal suo essere una diciassettenne a tutti gli effetti. Si fa chiamare Lady Bird (“il nome l’ho dato a me stessa” dice), odia Sacramento, vorrebbe andare a vivere New York o nella East coast, non considera molto la sua famiglia, affronta una dicotomia con se stessa e con chi vorrebbe essere.
È una ribelle per il gusto di esserlo, fa gli errori che molti della sua età fanno, non ha chiaro cosa vuole dalla vita.
Il centro del film è il rapporto della ragazza con la madre e non il complesso passaggio al college o le avventure sentimentali.
A tale proposito sono due le linee di scontro: la classica volontà adolescenziale di volersi imporre sul mondo, esplicitata dal cambio di nome, e la situazione economica precaria della famiglia.
Tali linee si intrecciano l’una con l’altra.
Ad esempio l’ambientazione provinciale, chiusa e stagnante, si lega parecchio al tema economico, come quando diventa il termine di una dialettica ideale con New York, simbolo agognato di emancipazione sociale, scolastica e finanziaria. Oppure quando la ragazza inorridisce in modo plateale di fronte al poster di Ronald Reagan, sicuramente una delle cause della sua infelice situazione economica. Si è di fronte ad una famiglia che vive “dalla parte sbagliata dei binari” le cui relazioni interpersonali e i dissidi personali soffrono per lo stesso motivo.
Questa dialettica si risolve nel finale, in modo non scontato, sancendo l’amore per la terra natale prima detestata (“che uccide l’anima”), in chiave non tradizionale.
Nel narrare una situazione simile, senza drammatizzare troppo la trama, la Gerwig dimostra la propria abilità come sceneggiatrice che, sommata alla sobrietà registica, rimanda nelle modalità a quel Furore di Steinbeck, ascoltato in radio da madre e figlia ad inizio film.
L’occhio personale e autobiografico della regista
La regista sceglie piccoli particolari su cui appoggiare il racconto di formazione: lascia il viso della protagonista scoperto con l’acne in vista e mostra a 360 gradi la faccia che oscilla tra l’annoiato, l’infastidito e l’insolente.
La vita di Lady Bird e quella di Greta Gerwig coincidono: entrambe sono nate a Sacramento, entrambe con una madre infermiera. Ma come con tutta la narrativa autobiografica, c’è un sottile piacere nel chiedersi quali frammenti siano stati presi direttamente dalla vita e quali siano stati subdolamente alterati.
In questo film, Lady Bird è esilarante e ironicamente di secondo piano nella recitazione, e non accetta di apparire in uno spettacolo perché le viene offerto solo il ruolo muto truccato da principale. Ma non sappiamo se la regista nella realtà fosse davvero brava o mediocre nella compagnia teatrale scolastica di cui faceva parte; certo è che le scene di produzione del dramma scolastico sono molto simili al reale.
C’è un momento sbalorditivo in cui il regista dello show teatrale, padre Leviatch (Stephen Henderson), insiste durante le prove affinché i ragazzi facciano un gioco di improvvisazione in cui si siedono in cerchio e la prima persona che piange vince, ed è tutto così realisticamente imbarazzante e terribile da risultare assolutamente autentico.
I temi di Lady Bird
La costruzione precisa del rapporto genitore-figlia priva di elementi melensi è lo scarto che allontana quest’opera dalla maggior parte dei coming-of-age. Ma questo punto non è l’unico, anzi ci sono altre situazioni a sostegno della specificità della storia, che si toccano e influenzano a vicenda continuamente.
In prima linea nella caratterizzazione del liceo cattolico e del suo sistema interno.
La Gerwig non ricrea il classico collegio cattolico chiuso e oppressivo, spesso in lotta con lo spirito di ribellione del protagonista adolescente di turno. Una delle scene di inizio film risulta piuttosto chiara: i riti religiosi della scuola sono svecchiati da una colonna sonora in attrito con quella realtà e da un montaggio veloce.
Altra scelta diversa dal solito è quella di non mostrare i lati negativi di ogni carattere. Succede nel caso nella suora Sarah Joan, che comprende uno scherzo di cui è vittima in modo intelligente e svia lontano da una reazione più bigotta e prevedibile.
Altro canovaccio classico (che non viene mostrato nel modo tradizionale) è l’allontanamento della protagonista dalla sua migliore amica per avvicinarsi al gruppo di ragazzi più popolari, rappresentato da Jenna.
Le dinamiche di approccio alla nuova amica sono leggermente abbozzate per concentrarsi invece su un sincero interesse reciproco. A differenza del solito stereotipo, tipico dei racconti di formazione, in cui la ricca di turno non ingloba i meno abbienti all’interno della sua cerchia, la differenza socioeconomica tra le due interessa molto meno a Jenna che a Lady Bird.
La risoluzione della rottura con Julie si chiude poi nel finale con la presa di coscienza della protagonista, durante un momento molto tenero.
Anche la rappresentazione delle sue storie sentimentali è diversa dal solito; riceve delusioni particolari da entrambi i ragazzi con cui si frequenta, e spiazzanti e inaspettate sono le battute che si sentono in momenti cruciali delle relazioni da ambo le parti, sia con Danny sia con Kyle.
Gli echi cinematografici
Lady Bird ha echi di altri film. Come già accennato la Gerwig ha assorbito il mumblecore e le sue commedie indipendenti ma i momenti di ribellione hanno molto delle commedie di Alexander Payne, anche se con meno cinismo. Ed è possibile che la regista abbia preso ispirazione dal discorso di addio arrabbiato di Patricia Arquette in Boyhood di Richard Linklater.
Conclusioni finali
Greta Gerwig ha presentato la protagonista per quello che è: nessuno la giudica, in molti abbiamo provato quel desiderio di evadere da una periferia grigia e da una realtà con pochi stimoli, tanto è vero che all’inizio del film si sente la citazione di Joan Didion irradiare lo schermo: “Chiunque parli dell’edonismo californiano non ha mai passato un Natale a Sacramento”.
Ma il cuore pulsante del film risiede nella rappresentazione trasparente di come mamma e figlia si comportano tra loro e di riflesso con gli altri, al punto che la madre potrebbe essere considerata una seconda protagonista. In un certo senso, si tratta di quanto sia impossibile per gli adolescenti immaginare la vita emotiva dei loro genitori, o riconoscere il devastante senso di abbandono e inutilità di quegli adulti colpiti quando il bambino esce di casa e loro devono sopprimere i sintomi della rabbia e della perdita. Quanto a Marion, forse sta scoprendo una grande verità non riconosciuta: Christine non è più tutta per sé perché ora è grande e se ne va di casa. Allora ecco spiegato quel senso di protezione e quel controllo esagerato. Dire addio in queste circostanze richiede un gesto di abnegazione, o addirittura di auto-immolazione, e quella scena finale, che ha fatto piangere non poche persone, dimostra che forse la mamma non è ancora pronta a compiere quell’azione.
E la coppia Metcalf-Ronan è meravigliosamente forte nel rendere reale questo sentimento in perenne bilico tra odio e amore.