La terra dei figli: una giovane speranza per il mondo

La terra dei figli: una giovane speranza per il mondo

La terra dei figli, prodotto realizzato da Claudio Cupellini, trae ispirazione dall’omonima graphic novel firmata da Gipi, ma con l’unica differenza che nella pellicola vi è soltanto un figlio. Il film italiano nonostante sia arrivato nelle sale durante l’estate (non proprio il momento perfetto per i film) e poco dopo la riapertura dei cinema in seguito alla chiusura forzata imposta dal covid-19, ha ottenuto un discreto successo frutto del grande lavoro tecnico e della storia avvincente.

Vediamo dunque di cosa parla La terra dei figli e che parere ci siamo fatti noi di Movieblog.

Trama

La terra dei figli è un film ambientato in un mondo post-apocalittico, dominato dalla violenza, nel quale un padre (di cui non conosceremo il nome) tenta di crescere suo figlio, preparandolo ad affrontare una dura vita.
Si tratta di una storia di formazione, che racconta come un adolescente di solo 14 anni si ritrovi costretto a lottare per sopravvivere in un mondo ostile. Padre e figlio vivono in una palafitta vicino al lago con il terrore che ogni persona che passi per la loro strada possa avere brutte intenzioni. Per questo ogni giorno si rivela una lotta alla sopravvivenza.
Quando il padre muore, al figlio non resta altro che un quaderno, dove sono raccolti tutti i pensieri e i ricordi paterni, ma il ragazzo non ha mai imparato a leggere ed è per questo che decide di mettersi in viaggio alla ricerca di qualcuno che possa decifrare quelle pagine. Solo leggendo i pensieri del padre, il giovane scoprirà se davvero suo padre nutriva sentimenti di odio nei suoi confronti o se dietro ci fosse altro.

Cast

Il cast è composto per la maggior parte da attori affermati e qualche giovane di prospettiva, a partire dal protagonista interpretato da Leon De La Vallée, suo padre è invece Paolo Pierobon. Personaggio di grande importanza per il percorso del ragazzo è sicuramente Maria, interpretata da Maria Roveran.

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Tra i personaggi ricorrenti troviamo Fabrizio Ferracane nel ruolo di Aringo, il vicino dalle cattive intenzioni,  Maurizio Donadoni e Franco Ravera, rispettivamente Lorenzo e Matteo, due anziani contadini che prestano soccorso al giovane, ma che non riservano intenzioni altrettanto positive ed infine una menzione speciale per Valerio Mastandrea ed il suo Boia, che nonostante appia sullo schermo soltanto per circa dieci minuti, riesce a raccontare tanto della sua sofferenza e si rivela fondamentale per il giovane protagonista.

Recensione

La terra dei figli, prodotto realizzato da Claudio Cupellini, trae ispirazione dall’omonima graphic novel firmata da Gipi, ma con l’unica differenza che nella pellicola vi è soltanto un figlio. Ciò potrebbe far storcere inizialmente il naso e che invece si trasforma nel punto di forza dell’intero progetto, che diventa più intimo, diretto e sincero. Il presupposto da cui parte il film di Cupellini è che non esiste futuro, soprattutto per una generazione che ha già dimenticato il passato, i ricordi e le loro vite prima che arrivasse “l’apocalisse”.

Quello che si percepisce fin dalle prime battute, è un clima sporco, malsano, in cui un padre e suo figlio tentano di arrancare giorno dopo giorno, fin quando il loro cuore non smetterà di battere. E se il padre dal canto suo cerca di tenere lontano da sé il figlio, affinché il giovane non soffra la sua imminente dipartita, il ragazzo non si arrende alla miseria che piano piano li sta soccombendo e cerca ogni giorno di portare a casa il cibo per entrambi, di difendere il loro territorio e di far sentire al proprio vicino la sua forza, prima che sia quest’ultimo a dominarli.

Ne La terra dei figli non vi è spazio per le parole e così la maggior parte della pellicola resta immersa nel silenzio, in un gioco di inquadrature e scenografia che rendono la quiete ricca di dettagli ed emozioni. Un film che mette in scena un viaggio, che inizia quando il giovane ragazzo perde suo padre e l’unico appiglio resta un quaderno in cui l’uomo scriveva i suoi pensieri e ricordi prima di iniziare a dimenticare.

L’obiettivo del figlio diventa dunque, quello di trovare qualcuno in grado di leggere quelle parole, per capire definitivamente se suo padre lo odiasse così tanto come dimostrava quotidianamente o se vi fosse un sentimento d’amore nascosto nei suoi gesti. Il viaggio intrapreso dal ragazzo diventa ben presto un cammino verso un nuovo inizio, verso una speranza che permetta a lui e ai pochi sopravvissuti di tornare a vivere davvero.

Nel corso del film, quasi nessun personaggio viene presentato con il proprio nome, simbolo dei ricordi che svaniscono, fatta eccezione per tre volti. I primi due sono Lorenzo e Matteo, gli unici che all’apparenza abbiano conservato un briciolo di umanità e che si dimostrano disponibili a leggere al ragazzo qualche pagina del quaderno paterno. Ma lo sappiamo, ognuno di noi nasconde degli scheletri nel proprio armadio ed è proprio grazie a questi che facciamo la conoscenza del terzo personaggio di cui viene fatta menzione del nome, anche se inizialmente i due fratelli la definiscono brutalmente con il nomignolo di “cagna” (e no, non si tratta di una puntata di Boris). Si tratta di una giovane ragazza privata della sua libertà e della sua femminilità. A dimostrazione del fatto che a volte il destino deve fare semplicemente il suo corso, il nome di questa donna inerme è Maria e proprio come la Vergine, rappresenta la speranza a cui si affida il nostro protagonista, l’appiglio per iniziare una nuova vita.

Il prodotto firmato da Cupellini è sì, la storia di un viaggio, la storia di un ragazzo e del proprio destino, ma è in modo particolare, la storia dei padri. La terra dei figli sul finale torna prepotentemente a rimarcare il passato, grazie a Valerio Mastandrea e al suo Boia. Un uomo dilaniato dal male fatto alla propria famiglia che decide di darsi una seconda possibilità, di espiare le sue colpe quando ritrova davanti a sé il Figlio, protagonista della storia. Un personaggio secondario che resta sullo schermo per brevissimo tempo, ma quanto basta per lasciare il segno, purificare la sua anima e dare luce alla vita del ragazzo.

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Il risultato finale è un piacere per la vista, grazie all’eccezionale fotografia che regala un ambiente cupo, condito da luci fioche e malandate, ma un grande dolore per il cuore. E se il cinema americano ci ha abituato ad un’infinità di azione, sogni e desideri, nell’ultimo periodo gli italiani hanno deciso di mettere in scena tutta la crudeltà del mondo vero, senza mezze misure, trasportandoci nella vera tragedia che giorno dopo giorno avviene lontano dai nostri occhi, avvolgendola però della giusta dose di luminosità affinché in noi non si perda mai la speranza un giorno, di ritrovarci nel mondo tanto ricercato da il Figlio durante il suo viaggio, prima di raggiungere la fine perché citando proprio l’apertura del film “Sulle cause e i motivi che portarono alla fine si sarebbero potuti scrivere interi capitoli nei libri di storia, ma dopo la fine nessun libro venne scritto più”.

About The Author

Diplomato al Liceo Scientifico, tra una pagina e l'altra di un libro di matematica, un episodio calza a pennello. Più che per il cinema, ho la passione per il piccolo schermo. Sono l'amico a cui viene sempre fatta la domanda "Ma che serie tv mi consigli?" Se non avete idea di cosa guardare, faccio al caso vostro. Siete invitati nel sottosopra che si trova nella mia testa.

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