Solamente 3 mesi fa Alice in Borderland è uscito in esclusiva su Netflix. Stiamo parlando di una serie Giapponese tanto diversa da quelle che siamo abituati a vedere. Ispirata al manga omonimo scritto nel 2010 da Haro Aso, solo 10 anni dopo riesce a trovare effettivamente spazio nel pubblico.
Era il 2014 infatti quando per la prima volta è stata fatta una trasposizione di 3 episodi del manga, che purtroppo però non ha avuto molto successo.
Diretta di da Shinsuke Sato questa volta il successo lo trova, ricevendo comunque pareri contrastanti dalla critica, per quanto riguarda soprattutto la caratterizzazione dei personaggi, o meglio l‘evoluzione di alcuni di questi.
Il japan Times ad esempio afferma che pochi di loro lasciano effettivamente il segno e proprio per questo oggi vedremo come mai Alice in Borderland merita di essere vista, soprattutto per alcune tematiche affrontate attraverso personaggi che il segno lo lasciano eccome. Prima però andiamo con ordine.
La trama
Arisu, giovane disoccupato, dopo la morte della madre passa tutto il giorno a giocare ai videogame nella casa in cui vive con il padre e il fratello, che cerca ostinatamente di farlo assumere nell’azienda del padre. Questo però non è quello che Arisu vuole dalla propria vita, non vuole vivere quel futuro noioso che si prospetta davanti al fratello maggiore; lui vuole semplicemente essere il classico “neet” che va in giro con i propri amici e si diverte tutto il giorno. Qualcosa, però, cambia nella sua vita quando insieme ai sue due migliori amici si ritrova improvvisamente in una Tokyo completamente deserta. I cellulari smettono di funzionare lasciando stupiti i protagonisti di questa prima parte della serie, che ovviamente essendo figli della tecnologia cominciano a sentirsi persi e allo stesso tempo contenti di poter fare finalmente ciò che vogliono. Una sensazione, purtroppo, che quasi subito lascia spazio allo sgomento e al terrore, visto e considerato che quello in cui si trovano non è proprio il paese delle meraviglie, ma un’arena macabra dove si deve lottare ed essere disposti ad uccidere per la propria sopravvivenza.
Un Survival Game moderno
Alice in borderland ha tutti i caratteri tipici dei manga, questo è certo, e sicuramente sente le influenze di opere già viste nei grandi e piccoli schermi, da “Battle Royale”, a cui molte critiche l’hanno paragonata, ad Hunger Games.
Se per il “gamer” più appassionato, infatti, può non rappresentare nulla di nuovo ma semplicemente una trasposizione ben fatta, per chi nel suo catalogo Netflix trova tutt’altro, questa è una serie che deve vedere assolutamente. Quindi, tu, si soprattutto tu che hai finito proprio ieri la tua serie preferita per la ventesima volta non sapendo più cosa guardare, vai nella barra di ricerca e digita “Alice in Borderland”.
La serie infatti è un “survival game” con tratti fantascientifici che porta lo spettatore a immedesimarsi nei giochi, in una trama che si divide magistralmente in due parti. I primi quattro episodi si dedicano a questa sorta di “escape room” dove ogni sera un edificio di Tokyo si trasforma in un’arena macabra dove i giocatori devono uscire vincitori, anche a discapito degli altri; la seconda parte invece lascia il posto a una riflessione più profonda su tematiche sociali, grazie a personaggi che sicuramente hanno uno sviluppo migliore di quelli precedenti.
Protagonista di queste tematiche è la scena più potente della serie, in cui un’esperta di arti marziali si scontra a mani nude con un killer all’apparenza indistruttibile e la sua fidata Katana. Potrebbe essere criticata come una scena surreale,si, come altre nel corso degli episodi, ma è la scena che va oltre se stessa a passare in primo piano lasciando poco conto alle critiche.
Perché guardare Alice in Borderland
Senza incombere nello spoiler, voglio dirvi quindi perché guardare questo gioco horror/scifi che lascia tutti con il fiato sospeso:
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No alla noia
La serie non è una di quelle che va degradando episodio dopo episodio, in cui è palese la mancanza di idee originali degli sceneggiatori. Alice in borderland, infatti, migliora dall’inizio della seconda parte per raggiungere la gloria sul finale, non caratterizzato dal tanto amato/odiato cliffhanger che lascia tutti con l’amaro in bocca. Le risposte ci vengono fornite, ma la seconda stagione (già annunciata una settimana dopo l’uscita della prima) la si deve comunque aspettare per poter capire a cosa i nostri personaggi andranno incontro. Più che un cliffhanger micidiale dunque, il finale ci lascerà con un colpo di scena inaspettato.
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Due personaggi che il segno lo lasciano
Arisu: Il protagonista, il cui cognome è la traslitterazione giapponese di Alice, oramai abituato alla noia della vita viene catapultato in un mondo distopico, del tutto diverso da quello in cui vive, ma che forse sognava di visitare mentre perdeva tempo davanti allo schermo. Vedremo la sua presa di coscienza, la sua crescita fisica e soprattutto mentale, la sua presa di responsabilità. Un ragazzo all’apparenza menefreghista disposto a tutto per salvarsi, ma che al primo posto metterà sempre il prossimo.
Niragi: Uno degli antagonisti della seconda parte della serie. Questo è un personaggio complesso, la sua descrizione potrebbe richiedere molto più tempo. Ciò che c’è sicuramente da dire è che lui rappresenta l’anima di ciò che purtroppo viviamo ogni giorno. Il dualismo instabile tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato che però risulta difficile da distinguere quando si è abituati a vivere in una società gerarchica, patriarcale fatta di bulletti di quartiere che sovrastano su tutto. Niragi è questo: è la rappresentazione di tutto il marcio presente nella nostra società, di tutto ciò che c’è di condannabile e che purtroppo sfoga in questo nuovo mondo desolato.
Detto questo spero di averti convinto. Fossi in te accenderei ora la televisione e mi immergerei in questi 8 episodi. Non ci vorrà molto, io ho impiegato una sola notte!