Storia di un Successo Scritto
Di tutti i remake live action che potevano uscire, probabilmente Il Re Leone era uno di quelli che potevano generare più attesa. Non per nulla non è uscito fra i primi tentativi di questo tipo di film, i quali probabilmente sono stati usati come dei test per vedere la reazione degli spettatori a questo progetto, ma non è stato neanche rilasciato come jolly da giocare nel caso di un calo di interesse. La storia di Simba è uscita ora, in quello che è sicuramente il periodo più alto della storia Disney. Sulla scia del successo di Aladdin, dei record di Endgame e in previsione di chiudere la saga di Star Wars a dicembre.
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Il ritorno alla Rupe dei Re quindi è arrivata in sala in un periodo in cui era quasi impossibile fallire. Lo dimostra il fatto che dopo 2 settimane si è già ampiamente superato il miliardo e mezzo di incassi. Questa situazione non fa altro che aumentare il senso di vuoto che mi ha lasciato questo film. Le 2 ore di live action non aggiungono assolutamente nulla a uno dei più grandi cartoni animati della storia del cinema moderno, anzi privano una storia di crescita praticamente esente da difetti di tutta la magia che dovrebbe avere un film di questo tipo
Realismo oltre la Magia
Partiamo dal più grande pregio che ha questo film. Tecnicamente è perfetto. Il lavoro che è stato fatto sugli animali è incredibile. A partire dal design, passando per le interazioni e arrivando ai movimenti istintivi (come le orecchie che effettuano movimenti rapidi quasi incontrollati tipici dei felini) non ci sono sbavature. Soprattutto il secondo punto, le interazioni, avevano sollevato parecchi dubbi, ma vedere gli animali parlare fra di loro non è per nulla fastidioso nonostante non siano antropomorfi. Se si togliessero i dialoghi potrebbe benissimo sembrare un documentario. Jon Favreau e il suo staff meritano tutti i complimenti del caso.
I problemi di questo film non sono nella messa in scena, ma nella mancanza di cuore. Anche non facendo confronti con l’originale si nota una pesante mancanza di approfondimento dell’anima e dei percorsi dei protagonisti. C’è tanta voglia di far vedere quanto sono belli e ben realizzati i paesaggi e gli animali che si perdono tanti approfondimenti sulla crescita e sui rapporti che si sviluppano (soprattutto quando non è coinvolto Simba). L’esempio più eclatante è il modo in cui non si dà l’importanza che merita a un personaggio fondamentale come Rafiki e ai suoi insegnamenti, che dovrebbero teoricamente essere fondamentali per il ritorno a casa di Simba, ma che di fatto in questo film non esistono. Per le 2 ore di durata del film si ha l’idea che durante la lavorazione si operasse dando per scontato che gli spettatori già conoscono la storia e che quindi tanti passaggi che necessitano di interi atti fatti di dialoghi, lezioni e cambiamenti fossero sacrificabili o semplificabili.
Tolti i 3 membri della famiglia reale (Mufasa, Simba e Scar), tutti gli altri personaggi sono pressochè privi di un approfondimento e non hanno nessuna rilevanza nella crescita del protagonista venendo ridotti a macchiette (Zazu, Timon e Pumbaa su tutti). E infine a dare il colpo di grazia ci pensa la regia di Favreau che decide di riproporre tante sequenze identiche a quelle dell’originale inquadratura per inquadratura. Questa scelta non la capisco e mi ha stupito perché stiamo parlando dello stesso regista del remake de Il Libro della Giungla che in quel caso si era preso alcune licenza poetiche riscrivendo in parte la storia e realizzando un prodotto più originale e a mio parere più riuscito.
Il film porterà sicuramente i suoi profitti perché coinvolge chi ha amato l’originale con l’effetto nostalgia e sicuramente colpisce i più piccini che resteranno stupiti davanti a delle immagini bellissime di animale parlanti. Inoltre la storia rimane sempre quella del Re Leone quindi per quanto possa essere raccontata frettolosamente rimane sempre una grande storia. Però sono certo che fra altri 20 anni, quando si penserà al Re Leone, si penserà ancora a quella pietra miliare che nel 1994 ha cambiato il modo di fare e pensare un cartone animato e non a questa copia fredda e sbiadita.
Il Doppiaggio: Da Luca Ward a Edoardo Leo
Non essendoci attori in carne ed ossa il doppiaggio merita un approfondimento in quanto diventa fondamentale nella resa dei personaggi che non possono contare sulle interpretazione fisiche di veri attori. Sicuramente la lente d’ingrandimento era tutta sui doppiatori di Nala e Simba in quanto sono 2 cantanti e non doppiatori professionisti e la falce del pubblico era pronta a fiondarsi sulle performance di Elisa e Marco Mengoni.
Ho trovato il loro lavoro molto buono, non è un doppiaggio che ti entra dentro e ti lascia a bocca aperta ma sono stati pienamente sufficienti. Va elogiata la prova di Edoardo Leo come Timon. Va invece per me bocciato il doppiaggio di Scar che tenta di avvicinarsi all’originale ma risente troppo dell’ottimo lavoro svolto nell’originale da Tullio Solenghi. Sorprendentemente mi trovo a bocciare anche Luca Ward. Non perché il suo lavoro sia fatto male (parliamo di uno dei migliori doppiatori della sua generazione) ma perché per me la sua interpretazione non si sposa con un personaggio autoritario ma saggio che quasi odia dover ricorrere alla forza bruta.
L’idea che mi dà è quella di una persona più vissuta di te che anziché essere protettiva è solo impaziente. Purtroppo non mi è arrivata la stessa maturità e lo stesso senso di sicurezza e sacrificio paterno che mi arrivava da Vittorio Gassman. Ma forse l’eredità di un mostro di bravura come Gassman è troppo per chiunque, anche per il sempre bravissimo Luca Ward.
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