USA, 2020
REGIA: AARON SORKIN
DURATA: 130 min.
CAST: EDDIE REDMAYNE, SACHA BARON COHEN, YAHYA ABDUL-MATEEN II, DANIEL FLAHERTY, JOSEPH GORDON-LEVITT, MICHAEL KEATON, FRANK LANGELLA, JOHN CARROLL LYNCH, NOAH ROBBINS, MARK RYLANCE, ALEX SHARP, JEREMY STRONG.
GLI USA ANNI SESSANTA TRA VIETNAM E PACIFISMO
Nella sua lunga carriera, lo sceneggiatore Aaron Sorkin ha spaziato tra il cinema e la tv con notevole successo, vincendo cinque volte l’Emmy Award per la serie della NBC “The West Wing” (in onda dal 1999 al 2006) e un Oscar per la sceneggiatura del film “The Social Network” nel 2011, sebbene forse il suo script più famoso sia “Codice d’onore” del 1992, uno dei più celebri “courtroom drama”.
Anche “Il Processo ai Chicago 7”, come recita il titolo, è una pellicola che si concentra su un particolare caso giudiziario. Disponibile su Netflix a partire dal 16 ottobre e secondo lungometraggio da regista per Sorkin (il primo fu il discreto “Molly’s Game” del 2017), ricostruisce uno dei fatti di cronaca più importanti e significativi della storia statunitense, precisamente nell’anno di fuoco 1968 segnato dalle proteste antivietnamite esplose durante la convention democratica tenutasi a Chicago.
In quell’occasione, a cavallo tra le amministrazioni Johnson e Nixon – il quale avrebbe vinto le elezioni di lì a poco per insediarsi alla Casa Bianca nel gennaio 1969 – diversi gruppi radicali tra cui la SDS (Studenti per la Società Democratica), gli Yippies (Leader del Partito Internazionale della Gioventù) e altri movimenti pacifisti organizzarono alcune manifestazioni nella capitale dell’Illinois per protestare contro la guerra in Vietnam e la crescente perdita di vite umane nel conflitto, visto anche il potenziamento sistematico dell’esercito che ogni mese mandava in media circa 35 mila giovani americani a morire in un Paese straniero.
Presto sfociate in uno scontro sanguinoso con la polizia di Chicago, le proteste segnarono fortemente l’opinione pubblica e il clima politico di quegli anni delicati, tanto che il procuratore generale nominato da Nixon decise, qualche mese dopo, di imbastire un caso contro alcuni esponenti di quei gruppi che, secondo il Dipartimento di Giustizia, avrebbero cospirato per portare disordini e incitamento alla violenza.
Gli uomini accusati, precisamente sette, facevano parte di gruppi differenti e non legati tra di loro, anzi in alcuni casi trasversalmente diversi come i “figli dei fiori” e gli studenti democratici, ispirati sì dagli stessi ideali ma profondamente in disaccordo sui modi in cui attuarli.
UN AVVINCENTE DRAMMA GIUDIZIARIO
Ricostruendo in maniera dettagliata le lunghe fasi del processo che durò circa cinque mesi, Sorkin alterna sapientemente i tecnicismi dell’aula giudiziaria ai flashback degli eventi che portarono la polizia di Chicago a sferrare un violento attacco contro i manifestanti disarmati: ciononostante, il processo fin dall’inizio si contraddistinse per essere di tipo “politico”, vista la palese faziosità del giudice incaricato del caso, tale Julius Hoffman, che ostracizzava costantemente i legali della difesa.
Guidato da un cast stellare in cui spiccano i premi Oscar Eddie Redmayne e Mark Rylance (quest’ultimo nei panni di uno degli avvocati difensori), un inedito e sfaccettato Sacha Baron Cohen più Michael Keaton in un piccolo ma fondamentale ruolo, il film si regge sulle interpretazioni magistrali degli attori e su una robusta sceneggiatura che attinge dal passato per parlare di presente.
Non è un mistero infatti che gli Stati Uniti stiano attraversando ancora oggi una profonda crisi politica e sociale, dal problema sempre più evidente del razzismo e della discriminazione fino all’attacco dei diritti civili, ragion per cui potremmo definire questa storia uno specchio dell’attualità, mai urgente come adesso quando il popolo americano si trova in prossimità delle nuove elezioni presidenziali.
A livello di regia non assistiamo a scelte stilistiche di grande avanguardia o di prorompente rottura degli schemi: lo stile asciutto e tradizionale di Sorkin dietro la macchina da presa è tutto al servizio di un copione che fin da subito appassiona lo spettatore e lo accompagna con grande onestà intellettuale in quello che poteva essere un terreno minato per stereotipi e twist ricattatori, ma che al contrario restituisce veridicità e sostanza a uno dei momenti più bui della storia civile americana.
Tutto ciò senza santificare gli imputati o calcare la mano sulle responsabilità della polizia, bensì cercando di andare al nocciolo del problema, di quelle istituzioni corrotte e degli ideali soffocati che per troppo tempo hanno lacerato un’intera Nazione.
Alternando l’urgenza del racconto e la sua gravitas con sapienti dosi di ironia, “Il Processo ai Chicago 7” è un film da non perdere che rientra già nel novero dei più riusciti drammi processuali degli ultimi anni.