Il 15 giugno 1985 a Tokyo venne fondato lo Studio Ghibli, la celebre casa di animazione giapponese che ha ridefinito gli standard del linguaggio animato degli ultimi anni.
Tra i fondatori, il più famoso è certamente Hayao Miyazaki, regista animatore e visionario – il “padre” di Heidi, Anna dai capelli rossi e Lupin III tanto per intendersi – che scelse anche il nome della compagnia: “ghibli”, infatti, si rifà al vento caldo del sud-est tipico del deserto, ma era anche il soprannome dell’aereo italiano Caproni Ca.309 appartenente alla Regia Aeronautica negli anni Trenta.
E sono proprio il vento e le macchine volanti le grandi passioni di Miyazaki e due dei simboli imprescindibili dello Studio Ghibli, che da trentacinque anni produce lungometraggi che trascendono la definizione stessa di semplice “cartone animato”: sono vere e proprie pellicole d’autore, in cui il disegno (rigorosamente a mano e in 2D) non fa altro che accrescere il valore e la profondità delle vicende descritte. Realizzati per un target specifico di bambini e adolescenti, non c’è dubbio che i mondi presentati possano essere apprezzati anche, e soprattutto, dagli adulti.
Con oltre 20 film all’attivo – e uno in arrivo nel 2021 – lo studio ha influenzato fortemente la cinematografia orientale e non, riuscendo a piazzare ben sei titoli tra le prime dieci pellicole “anime” giapponesi con l’incasso più alto di tutti i tempi, e valicando i confini nazionali le sue opere sono state un successo di critica e pubblico in tutto il mondo.
Grazie a Netflix che ha recentemente reso disponibili i 21 film prodotti da Miyazaki e soci (con l’eccezione di “Una Tomba per le lucciole” del 1988) chiunque può recuperare questi piccoli grandi gioielli, avvalendosi anche della versione originale sottotitolata per chi non ha gradito il nuovo doppiaggio curato dalla Lucky Red, distributrice dei film in Italia.
Ma a cosa si deve questo grande e trasversale successo? Innanzitutto, dal lato tecnico l’animazione dello Studio Ghibli cattura e meraviglia gli occhi per l’alta qualità del disegno, impreziosito da una miriade di dettagli e da una ricerca stilistica che punta alla perfezione, mescolando l’arte tradizionale del Sol Levante con geometrie prettamente moderne.
Tematiche Ricorrenti
Tale valenza formale va sempre a braccetto con una narrazione di grande impatto: le vicende presentate sono tra le più svariate che si possano immaginare, ma ci sono sempre e comunque dei capisaldi che lo spettatore potrà scovare, che si tratti di storie originali o basate su altre fonti. La magia, ovviamente, è uno dei temi principali, essendo prodotti destinati principalmente – ma non esclusivamente – a un pubblico giovane, che tuttavia affonda le radici nel folklore e nella cultura tradizionale giapponese, per questo distante dai maghi e le streghe ai quali siamo abituati come pubblico occidentale. Incantesimi, maledizioni e trasformazioni sono ricorrenti, così come la presenza di forti protagoniste femminili: il “girl power” delle pellicole dello Studio Ghibli è sicuramente una delle ragioni del suo successo, in contrapposizione alla società giapponese fortemente patriarcale.
Un altro argomento caro a Miyazaki è sicuramente il rapporto tra uomo e natura: il fattore ambientalista permea quasi ogni film, una visione filosofica della vita e del suo significato nella quale non può esserci felicità se l’essere umano reca danno o non rispetta l’elemento naturale e animale. In questo senso, parallelamente all’atavico scontro con Madre Natura, sono spesso rappresentati scenari bellici, nonostante (o proprio per questa ragione) Miyazaki sia un fervente pacifista: in molte delle opere da lui dirette il rifiuto della guerra è un argomento palese, sia essa ritratta in maniera veritiera, ispirata da racconti fantasy o solo accennata.
I legami familiari inoltre sono presenti in grande misura e con essi la descrizione della società giapponese, sia attuale che più antica, i suoi usi e costumi, il lavoro e il sistema scolastico. L’importanza di un’istruzione e di una posizione sociale adeguata, così come i rapporti affettivi e amorosi (trattati sempre con grande pudore e romanticismo), hanno un ruolo preponderante nelle storie dipinte. Allo stesso modo traspare la grande importanza che riveste la saggezza degli anziani, soprattutto delle nonne, depositarie del retaggio ancestrale e di quel patrimonio spirituale fondamentale all’interno della famiglia e della società.
Migliori Film dello Studio Ghibli
Di seguito ho scelto i dieci film che, secondo me, rappresentano al meglio la visione e la filosofia dello Studio Ghibli e che raggiungono l’apice dell’amalgama perfetto tra elemento visivo e narrativo, dieci opere che chiunque volesse approcciarsi all’animazione del Sol Levante deve necessariamente vedere o rivedere.
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La Città Incantata (2001)
Probabilmente il più famoso dei lungometraggi prodotti dallo Studio Ghibli, campione assoluto di incassi in patria (con un bottino di 30,4 miliardi di yen superò anche “Titanic”) e l’unico film giapponese finora ad avere vinto l’Oscar come Miglior Film di Animazione, precisamente nel 2003.La storia di Chihiro, una bambina di dieci anni che si introduce senza rendersene conto, insieme ai genitori, in una città incantata abitata da yōkai (spiriti). Qui i genitori della bambina vengono trasformati in maiali dalla potente maga Yubaba e la piccola protagonista decide di rimanere nel regno fatato per tentare di liberarli.
Un capolavoro di qualità tecnica, una storia a tratti spaventosa e crudele, piena di allegorie e simbolismi per descrivere la perdita dell’innocenza e il passaggio all’età adulta di una generazione viziata e sedotta dal consumismo.
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“Il Castello Errante di Howl” (2004)
Campione di incassi in Giappone, tratto da un romanzo fantasy del 1986, il castello semovente del titolo appartiene a un mago egoista e vanesio che incontra casualmente una ragazza colpita da una maledizione, sullo sfondo di una guerra che ricorda il primo conflitto mondiale. Insieme cercheranno di fermare la terribile e sanguinosa battaglia che imperversa.La condanna assoluta della guerra qui è esplicitata più che in ogni altra opera di Miyazaki, così come la possibilità che ognuno possiede di decidere il proprio destino a dispetto delle proprie origini o apparenze.
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“Ponyo sulla scogliera” (2008)
La pesciolina Ponyo viene raccolta dall’oceano e curata da un bambino. Costretta a tornare in mare, Ponyo si trasforma in bambina per ricongiungersi all’amico.Con echi della Sirenetta di Andersen, a prima vista questo lungometraggio può sembrare più adatto a un pubblico infantile di quanto non sia in realtà. Miyazaki ci ricorda che chiunque è l’artefice della propria sorte e la ricerca della felicità, anche in un contesto di mancanze affettive o familiari, può avvenire nei posti più incredibili. Commovente e delicato.
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“Laputa – Castello nel cielo” (1986)
Primo lungometraggio ufficiale prodotto dallo studio fondato da Miyazaki e soci, ispirato al romanzo fantastico “I Viaggi di Gulliver”, questa favola fantasy condita con spettacolari momenti di azione racconta la storia di Sheeta, ragazzina in possesso di una misteriosa pietra che annulla la forza di gravità, che scappa dai suoi carcerieri aiutata da un giovane minatore per scoprire le sue origini in una antica civiltà che viveva tra le nuvole.Molti dei temi e dei paesaggi che diverranno emblemi dello Studio Ghibli come l’antimilitarismo, l’ecologismo e l’avversione per la cupidigia umana vengono qui introdotti in un avvincente mix di avventura, amicizia e amore.
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“Pioggia di ricordi” (1991)
Il film esplora una tematica tradizionalmente inusitata per il genere di animazione: un dramma realistico su una donna in carriera nel Giappone di oggi, che tra flashback sulla propria infanzia e un breve soggiorno in una comunità rurale compie un bilancio della propria vita e ridefinisce le sue priorità.Nonostante l’argomento più adulto, la pellicola ebbe un grande successo in patria e riesce in maniera splendida a descrivere l’importanza dei valori tradizionali, della vita comunitaria contrapposta al tumulto della metropoli, del rispetto della natura e del lavoro agricolo, senza dimenticare il ruolo della donna nella società.
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“Il mio vicino Totoro” (1988)
Uno dei film più celebri tanto che il personaggio dello spirito Totoro (un incrocio tra una talpa, un orso e un procione) è diventato il logo dello Studio Ghibli.
Due giovani sorelle, Satsuki e Mei, si trasferiscono insieme al padre in un paesino di campagna per andare a vivere più vicini alla madre delle bambine, ricoverata in ospedale. Nella nuova realtà, le sorelle fanno la conoscenza di esseri soprannaturali, tra cui Totoro, e maturano, imparando il rispetto per la natura e l’importanza dei legami affettivi. L’elemento fantastico prende piede come evasione dalla realtà drammatica vissuta dalle sorelle, ma alla fine sarà anche il veicolo per riuscire a elaborare una situazione dolorosa e traumatica, un inno alla forza dell’immaginazione.
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“Princess Mononoke” (1997)
Vero e proprio cult per gli amanti del genere, al punto che il personaggio di San, la ragazza-lupo detta “Mononoke” (spettro) è uno dei più inflazionati dai cosplayers giapponesi e non. Il film si svolge in una versione fantasy del Giappone del tardo periodo Muromachi (dal 1336 al 1573), ritraendo la lotta tra i guardiani sovrannaturali che proteggono una foresta e gli umani che, sfruttandone le risorse, la stanno lentamente distruggendo.Epica e dramma si fondono in un mix potente che riesce emozionare e coinvolgere lo spettatore per la sua valenza filosofica e per le spettacolari scene di battaglia.
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“Si alza il vento” (2013)
Una delle ultime opere di Miyazaki e, per certi versi, la più controversa della sua lunga carriera: trasposta dal manga da lui stesso realizzato e a sua volta vagamente ispirato all’omonimo romanzo di Tatsuo Hori, è la biografia romanzata dell’ingegnere aeronautico Jirō Horikoshi (1903 – 1982), progettista e inventore di svariati aerei tra cui quelli da caccia utilizzati dalla marina imperiale giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale.
In molti si chiesero se fosse opportuno per un film di animazione raccontare la vita di un uomo che creava macchine per uccidere, tanto più che ciò strideva con il pacifismo reiterato di Miyazaki, ma il suo stile e la visione d’insieme misero a tacere le polemiche. L’intento principale del regista fu quello di fondere le sue passioni più grandi, il volo e gli aerei, con la storia di un genio del suo tempo che realizzava gli aerei più avanzati dell’epoca e non era interessato alla guerra, ma solo a creare qualcosa di bello.
La ricerca della bellezza e della perfezione stilistica del protagonista, che attraversa tre decenni di storia giapponese e consente di scoprire un Paese all’epoca prettamente rurale e povero che stava cercando di trovare la propria identità moderna, riecheggiano in questo lungometraggio sofisticato e brillante, candidato agli Oscar del 2014 come Miglior film di animazione.
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“La storia della Principessa Splendente” (2013)
Un giorno di primavera un anziano tagliatore di bambù trova all’interno di un fusto di bambù una minuscola creatura luminosa dalle sembianze di una principessa. Quando l’uomo la mostra alla moglie, la creaturina si trasforma improvvisamente in una neonata e, siccome i due anziani coniugi non hanno figli, decidono di tenerla con loro dandole il nome di Principessa.
Miyazaki non è l’unico artefice del successo dello Studio Ghibli: l’autore e regista Isao Takahata, basandosi sull’antico racconto popolare giapponese “Taketori monogatari” (“Il racconto di un tagliabambù”), confeziona una gemma di animazione eterea, caratterizzata da una peculiare tecnica di disegno che prevede l’utilizzo di acquarelli alla quale si sposano perfettamente le tematiche e le allegorie dell’antica favola come l’arroganza del potere, il libero arbitrio e, ancora una volta, il rapporto con la natura. Candidato agli Oscar nel 2015 come Miglior film di animazione.
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“Porco Rosso” (1992)
Chiudiamo la nostra carrellata con uno dei titoli più celebri dalla casa di animazione giapponese, ancora una volta ispirato dalla passione di Miyazaki per la capacità dell’uomo di creare macchine perfette in grado di volare.
Liberamente basato sul manga realizzato dallo stesso regista, il film narra la storia di Marco Pagot, asso dell’aviazione militare italiana che, in seguito ad un misterioso incidente durante la Prima Guerra Mondiale, assume per magia l’aspetto di un maiale antropomorfo. Con il nome di battaglia di Porco Rosso, a bordo del suo idrovolante vermiglio, decide di ritirarsi dal campo di battaglia e di guadagnarsi da vivere facendo il cacciatore di taglie.
Mentre la maggior parte delle opere dello studio trascende il tempo e lo spazio, influenzate talvolta dalla società europea ma sempre condite con riferimenti fantastici, “Porco Rosso” è uno dei pochi film targati Miyazaki e soci calato in un preciso contesto storico e geografico: il ventennio fascista nell’Italia del Nord. Nemmeno troppo velatamente, il protagonista si professa un fervente antifascista e in seguito all’esperienza traumatica del conflitto, in cui ha perso tutti i suoi commilitoni, oltre a rifiutare di combattere decide anche di evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo con le persone che lo circondano. Una maledizione sia estetica che interiore, fino all’incontro con una giovane ragazza esperta di aerei e di motori che gli darà nuovamente una ragione per vivere.